Bahrain Telegraph - Straniero 25% ospiti Rems, 30% con stress post-traumatico

Straniero 25% ospiti Rems, 30% con stress post-traumatico

Straniero 25% ospiti Rems, 30% con stress post-traumatico

Psichiatri: "Sistema in crisi, serve protocollo transculturale"

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In Italia il 25% ospitati nelle Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) è straniero, 144 su 709 al 31 dicembre 2023, a fronte di una presenza nella popolazione generale inferiore al 10%. Nel 30% di rifugiati e richiedenti asilo si osserva disturbo da stress post-traumatico (Ptsd), dato significativo a fronte del 3,9% della popolazione generale. Sono solo alcuni dei dati analizzati durante il 2° Congresso nazionale della Società italiana di psichiatria e psicopatologia forense (Sippf) concluso ad Alghero. L'81% degli stranieri entra nelle Rems direttamente dal carcere, contro il 34% degli italiani. Spesso sono persone mai diagnosticate prima, mai seguite dai servizi territoriali. Secondo una serie di studi italiani sul tema, tra rifugiati e richiedenti asilo si registrano percentuali molto elevate di disturbi psichici. Oltre al Ptsd si osservano depressione (oltre il 35%) e disturbi d'ansia (15%), spesso in forme atipiche, difficili da riconoscere con strumenti diagnostici standard. Sono 695 le persone in lista d'attesa per le Rems, tra cui 15 autori di omicidio. La domanda è in crescita, spinta anche da fenomeni migratori e dall'aumento delle vulnerabilità psichiatriche. Ma l'offerta è ferma. "Il sistema mostra segnali evidenti di crisi", spiegano Eugenio Aguglia e Liliana Lorettu, presidenti Sippf. Il trauma tra i rifugiati "non si limita ai sintomi classici", spiega Aguglia, "ma include problemi di regolazione emotiva, immagine di sé e relazioni interpersonali". "Le Rems rischiano di diventare luoghi impropri, occupati da soggetti che non hanno reali diagnosi psichiatriche", afferma Giuseppe Nicolò, direttore Salute mentale Asl Roma 5. "L'uso improprio delle perizie toglie spazio e risorse a chi ha davvero bisogno di trattamento". Oggi, aggiunge Aguglia, "manca un protocollo forense realmente transculturale, in grado di valutare correttamente imputabilità, pericolosità sociale, capacità processuale. Strumenti come il Cfi o l'Htq sono raccomandati a livello internazionale, ma il loro uso in Italia è ancora marginale". Serve, concludono, "un percorso forense articolato, costituito da strutture e servizi specializzati, con periti formati e strumenti valutativi culturalmente sensibili".

I.al-Rashed--BT